essere lembo
carne senza accoglienza
l’estensione, un ricordo ch’eppure è qui
tra le quinte delle ciglia -murate
c’è qualcosa di sfiorito nel soggetto
e non pretendo che tu mi chieda -come stai?
sto bene– le unghie crescono, crescono
i capelli, crescono i denti come ai cincillà
(fino a inchiodarmi la mascella)
sto bene– con acqua da bere
acqua da sudare, il pane vecchio
di settimane, le chiavi dei santi
il parlare con loro
del ricordo
che resta
(manchevolezze)
lunedì 28 novembre 2011
domenica 27 novembre 2011
la vite disegnava un architrave
un attracco, il nutrimento primordiale dell’uva
quando decidemmo di abitare la casa
tu bambino, avevi il miele agli occhi
come una nostalgia piangente dai castagni;
coglievi i fiori di sambuco a fingere di bianco il riso
inventavi d’aprire la dispensa e dire -Grazie dell’olio
grazie dello zafferano
*
mi saresti selvatico, anche
distratto componendo il solito vento, l’onda
quasi fossi spicchio -o mappa
o corpo
a frastagliare i discorsi pesanti, come quelli che
trattengono le palme ai pungoli del letto, al passare dei giorni
eludendo la prima imperfezione, la coperta sghemba
una notte
aggiunta alla notte
che specula nel buio per appiccicarsi
urlo
*
urlo che disperde
le superfici piccole, senza la possibilità di emettere
l’estensione di un ricordo -le varietà diverse
delle more
il poterti chiedere di aspettare assieme la neve
di essere il primo ad alternare i balli
perché non esca il sole
ché non resti solo
l’occhio impavido al sovrastare di un’idea
che senza sole si muore nel bicchiere
come mandorle
come mandorle
-amare
venerdì 18 novembre 2011
*
mi fissavi, nella stanza compressa
proiettata sulla piazzola
attraverso la luce della finestra, così alterata
così prospettica da farsi
segno, tratteggiante
i quadri accesi
dai salti dei bambini
e noi, storti come detriti ad osservare
tutto quello spiccare
nuovo
*
addirittura nidi
capitolati in un soffocamento, detto altrimenti
amore
ad ogni giro una stretta, i lacci delle scarpe
i fiori alla Madonna, e prendersi per mano quando
il buio avanzava sbocciando a ciocche
la paura
*
e il tempo
a tacche, graffiava il gesso
fino a che l’impasto più friabile
diventava grigio, grigio tendente all’inferno
come la neve dei cigli
quando respira
piombo
*
si tracciavano segni a piè dei segni
aggrovigliate le orme sul corpo
quelle nudità di cenere
alle piante dei piedi
una secchezza simile al silenzio
fino all’esordio delle sue forme medesime
un aggirarsi di noncuranze
sempre più grevi
*
addirittura nodi
una caviglia stretta alla caviglia
capitolata in un soffocamento, detto altrimenti
morte
con opacità di occhi e di membrane
parti liquide a scendere tra i semplici sintomi
di una resurrezione
mi fissavi, nella stanza compressa
proiettata sulla piazzola
attraverso la luce della finestra, così alterata
così prospettica da farsi
segno, tratteggiante
i quadri accesi
dai salti dei bambini
e noi, storti come detriti ad osservare
tutto quello spiccare
nuovo
*
addirittura nidi
capitolati in un soffocamento, detto altrimenti
amore
ad ogni giro una stretta, i lacci delle scarpe
i fiori alla Madonna, e prendersi per mano quando
il buio avanzava sbocciando a ciocche
la paura
*
e il tempo
a tacche, graffiava il gesso
fino a che l’impasto più friabile
diventava grigio, grigio tendente all’inferno
come la neve dei cigli
quando respira
piombo
*
si tracciavano segni a piè dei segni
aggrovigliate le orme sul corpo
quelle nudità di cenere
alle piante dei piedi
una secchezza simile al silenzio
fino all’esordio delle sue forme medesime
un aggirarsi di noncuranze
sempre più grevi
*
addirittura nodi
una caviglia stretta alla caviglia
capitolata in un soffocamento, detto altrimenti
morte
con opacità di occhi e di membrane
parti liquide a scendere tra i semplici sintomi
di una resurrezione
martedì 8 novembre 2011
ad un’oltranza i baci
il piede di un angelo, statua
esposta al tempo, una supremazia
un sorriso sghembo
non raccontare, disse
non raccontare, guarda
e dimmi
solo quello che vedi
e dimmi
solo quello che vedi
qui la nebbia è come cera
un angelo in rivolta
un’ala -la mia deformazione
calamita addormentata
sulle mosche di novembre
non una poesia
non un'ode gentile che mi affaccia
a ornarmi di fiammelle
ad ascoltare i santi
uniti come il soffio ai compleanni
resta il tempo di respirare il fondo
i graffi esatti, le notti
quando canta il gallo, prima
della neve
i graffi esatti, le notti
quando canta il gallo, prima
della neve
ancora il sogno reso ai quadrifogli
tutti uguali, per le mani perfette
origami- seminate verso il fiume
così annegate al corpo, così vapore
il tonfo dei capelli
riposa l'acqua -sangue
che addenta come un’uniforme
lucido il costato, incarnato al Dio
che m’insegnò mia madre
l’angelo custode- a cui
piegare i baci prima di dormire
tutti uguali, per le mani perfette
origami- seminate verso il fiume
così annegate al corpo, così vapore
il tonfo dei capelli
riposa l'acqua -sangue
che addenta come un’uniforme
lucido il costato, incarnato al Dio
che m’insegnò mia madre
l’angelo custode- a cui
piegare i baci prima di dormire
lunedì 7 novembre 2011
tutto a capo
la pelle come un ritorno
muto, quasi nuovo
albero che traccia giri d’anello
la pelle come un ritorno
muto, quasi nuovo
albero che traccia giri d’anello
la corda ai polsi versata, ferma
gli occhi
a riguardare unghie
che non sanno scavare
gli occhi
a riguardare unghie
che non sanno scavare
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