giovedì 7 marzo 2013

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pensavo alla casa, a come mantenere
quell’imperfetto dei racconti dei bambini
la misura minima, quella selva oscura
l’abilità che serve al corpo per rivoltarsi
con riflesso postumo, col prurito
che esce dai follicoli del viso, una crescita
involontaria forse, dell’ultima bugia

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sono rimasta senza penitenza
quando disegnavo la pianta della casa
sognavo il marmo rosa, fiori d’arancio
permanenti, per la promessa sposa
in luogo dell'urna di cristallo e aria
che suonava come un’orchestra
di finestre aperte, le tende a sfarfallare
refrigerando stanze sature di funebrità

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ho chiesto del padre e della madre
disegnando la mia lucidità in fotogrammi
con mano nella mano di chi
leggeva la quantità di urine, spiegava
l’angolo da svoltare per l’ultimo atelier
che mi facesse bella con l’abito da sposa
tagliato sulla schiena, e dita a spacchi
da unire alla preghiera, l’ultima posa

*
avrò una chiara dipartita boschiva, una corale
tra fauna e passiflora. tra scaglie sprofondate
nel trasportare legna. raggiungerò la cura
dipingerò una ruota che eluda il fuso orario
agli occhi, alla corona, lo scarno del costato
il dorso flagellato dei monti, la memoria 


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